Da stasera tutta l’Italia salirà sul carrozzone Sanremo e complice il lockdown generalizzato dalle ore 22 sarà scontato il massimo share di tutti i tempi, quindi non facciamoci abbindolare dagli annunci trionfalistici della Rai! Io, come la maggior parte degli italiani, avevo sempre guardato il Festival in tv a fasi alterne della vita fino a quando nel 2010, grazie all’invito di una carissima amica che lavorava nello staff di Antonella Clerici, mi sono ritrovato all’Ariston nella serata finale e nell’edizione più “tumultuosa” della storia, quella della protesta contro Pupo e l’inutile principe, e della rivolta degli orchestrali. Magnifica serata! Da allora sono ritornato al Festival altre tre volte: nel 2017 per il premio alla carriera a Rita Pavone – Small Wonder, nel 2019 per presentare #nonsipuofermarelestate nell’ambito della rassegna Casa Sanremo e nel 2020 per il ritorno e la partecipazione in gara di Rita Pavone.
Conclusione di questo preambolo? È il posto più scomodo per arrivarci, mentre l’unico senso vero che ci ho trovato è l’aspetto antropologico del delirio delle folle per chi è illuminato dalla luce della notorietà e celebrità, che sia il frutto di un successo solido e costruito nei decenni o che si tratti di una meteora da reality destinata all’inevitabile estinzione. E allora, visto che si svolgerà in assoluta assenza di quel “delirio” e che comunque si spenderanno sempre milionate per realizzarlo dal palco dell’Ariston, perché non fare esibire i cantanti da 26 diversi teatri italiani per accendere simbolicamente una luce sul mondo dello spettacolo devastato dalla pandemia?
Le azioni sono simboli, e i simboli portano conseguenze. Ma saremmo dovuti essere troppo avanti per pensare e realizzare una cosa tanto semplice quanto simbolicamente forte!
Anche questa occasione è persa e se mai qualcuno facesse sua questa idea per un altro evento, comunque non potrebbe essere abbastanza forte perché la potenza mediatica del Festival non è pari ad altro nel nostro bel paese.
Peccato che il ministro Franceschini non ci abbia pensato, peccato che Amadeus e il suo staff non abbiano sentito di solidarizzare almeno simbolicamente con migliaia di addetti ai lavori più in ombra. È stato scelto un teatro Ariston vuoto e senza senso a fronte di 26 teatri e altrettante città che per una settimana si sarebbero simbolicamente illuminati di una luce trainante anche con un ritorno di lavoro, pur se per pochi giorni, per realtà ferme da un anno.
Scritto da Anton Emilio Korgh per Ytali.com